Recensione
Regia di Anca Hirte
Genere: Documentario (Francia, 2016, 89′)
Scrivere la recensione di un film come Il respire encore può richiedere di dividere l’analisi in due parti, la prima legata alle intenzioni alla base del lungometraggio, la seconda riguardante la sua effettiva realizzazione.
Questo perché le premesse sono decisamente audaci e geniali, almeno quanto rischiose. Capire bene le implicazioni dietro all’idea di questo progetto è importante per comprendere pienamente il valore della realizzazione finale. E queste implicazioni sono molteplici. Detto banalmente, questo è un film su un pugile con elementi musical.
Il musical nasce ovviamente in teatro, ma l’origine della sua versione cinematografica va ricercata in un periodo di transizione, nel quale le esigenze dell’entertainment americano si incontrarono con la definitiva affermazione del sonoro e il conseguente cambiamento tecnologico.
È un genere complesso, richiede un preciso lavoro sintattico e sincronico, ha una storia enorme con un’autonomia e una diffusione paragonabili a quelle del genere western. Fare un musical è rischioso e, dopo il suo declino, gli ottimi tentativi di recuperare questo genere cinematografico (mi riferisco a quelli dalla seconda metà degli anni 90 in poi) sono stati percepiti come decisamente coraggiosi, in quanto da molte persone era percepito come qualcosa di demodè. Con molta fatica è riuscito a riappropriarsi del riconoscimento che gli spetta.
Il pugilato è uno sport ben adattabile al grande schermo e tuttavia i film su questo sport sono fortemente esposti al rischio di cadere nella banalità e nel patetismo. Nonostante ciò sono state fatte moltissime opere cinematografiche sulla boxe – e tanti sono lavori straordinari – e ciò rappresenta un’ulteriore ragione per pensare che oggi i pericoli nascosti nella scelta di raccontare la storia di un pugile siano accentuati.
Insomma nel nostro presente fare musical o fare film sul pugilato è ancora più difficile rispetto al passato. Se tutto ciò appare problematico bisogna ora pensare che il respire encore mescola il musical e la boxe.
Il punto è che sorprendentemente ci riesce benissimo. Il risultato finale è un vero e proprio capolavoro: è originale, spontaneo, emozionante, significativo, sintatticamente riuscito, la musica è perfettamente adatta e ben sincronizzata rispetto a ciò che vediamo.
E se questo non è sufficiente, aggiungiamo che non si tratta di un prodotto costruito ad hoc, bensì di un documentario. Tantissimi elementi apparentemente eterogenei si fondono in questo lungometraggio in cui tutto sembra perfettamente al proprio posto.
Ogni cosa è curata nei minimi dettagli, dalle immagini (alcune veramente belle) alle parti musicali.
Karim Chakim è talmente intenso da portare chiunque non lo conosca a chiedersi se si tratti di un grande attore che interpreta un pugile o di un pugile con un’enorme espressività (è la seconda).
Il respire encore va oltre in tutti i sensi, supera i generi, supera i tempi, supera le possibilità. Si tratta di un grandissimo film.
Nicola Ruvioli