Recensione
Regia di Alex Anwandter
Genere: Fiction (Cile, 2016, 81′)
Luci rosse e sangue, colori accesi attraversano questo film caratterizzato in realtà da tonalità piuttosto grigie e cupe. Non sarai mai solo, questa è la traduzione del titolo di Alex Anwandter, un lungometraggio di forte impatto emotivo che racconta la doppia solitudine di un giovane ragazzo omosessuale e di suo padre.
Soli rispetto a chi? In fondo entrambi hanno le loro compagnie e un rapporto d’affetto reciproco.
Ma in un mondo tanto difficile, troppo spesso crudele e spietato, pieno di ostacoli e imprevisti, l’individuo necessita di amore e sostegno.
Juan e Pablo, padre e figlio. Quando Pablo viene ridotto in coma da una violentissima aggressione omofoba, Juan si scontra con tutta la spietatezza della società: aggressori del figlio, datori di lavoro, avvocati, assicurazioni: come se la condizione del giovane non fosse sufficiente, continuano ad arrivare botte da ogni parte.
Nel film ci sono diverse scene di sesso omosessuale decisamente esplicite, ma non sono gratuite né pornografiche. Hanno senso rispetto a ciò che questo film vuole essere – giustamente irriverente è ad esempio la scena di passione, assolutamente calzante, immediatamente successiva a un dialogo della classica zia fastidiosa che cerca di carpire informazioni sulla “fidanzatina”.
Gratuito e forzato è invece il dialogo con la dottoressa, in cui Juan e la professionista scherzano in un modo confidenziale ingiustificabile, sia per le caratteristiche psicologiche dei due sia per il contesto. C’è un’evidente necessità di sceneggiatura, poiché questo dialogo serve a introdurre un personaggio utile alla storia e a far emergere le difficoltà dell’uomo, fino a quel momento percepibili solo implicitamente. Tuttavia questo non è sufficiente a far passare un pretesto messo in scena con tanta superficialità in un film così delicato e ben diretto.
Ci sono inoltre tanti, forse troppi personaggi, che rubano tempo e scena a quelli principali che andavano ulteriormente approfonditi – in particolare sarebbe stato davvero importante dare più spazio al rapporto tra Fèlix e Pablo.
Il maggior punto di forza del film, ottimamente girato e ben interpretato, è il fatto che la tematica dell’omofobia si intreccia con i problemi che ogni persona può avere, a prescindere dalla propria sessualità. Violenza, burocrazia, rimorso, tradimenti, imbrogli, ingiustizia – tutti possono immedesimarsi nelle problematiche del film e ciò può stimolare una riflessione ampia e condivisa.
Inoltre, il disinteresse di Juan per la sessualità di Pablo, che caratterizzava il loro rapporto prima dell’aggressione, viene interpretata dallo stesso personaggio del padre non come una forma di tolleranza, bensì come un’indifferenza che prende origine dalla stessa radice della violenza: la disapprovazione. Questo è uno spunto decisamente interessante che il regista ha saputo mettere in scena con grande sensibilità.
La riflessione sulla vera natura di alcune pseudo tolleranze, che altro non sono che gentili disapprovazioni travestite e nascoste, può essere un nuovo punto di partenza per affrontare questa difficile tematica in favore di una più autentica comprensione dell’altro.
Buona e coerente anche l’introduzione in sceneggiatura del contrasto tra i manichini, gli oggetti di lavoro di Juan, e i segnali del bisogno di umanità che circondano questo personaggio, con un figlio in difficoltà tra le mura di casa.
In sintesi un ottimo film ricco di spunti davvero interessanti, che presenta però numerosi difetti nell’approfondimento dei personaggi chiave e in alcuni dialoghi.
Nicola Ruvioli