Una RoadMap per il Piano Sulcis

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Piano Sulcis
Piano Sulcis

A distanza oramai di 10 anni – era il 13 novembre 2012 – dall’epica giornata di guerriglia urbana che ha dato i natali al cosiddetto “Piano Sulcis” – a firma tra gli altri dei Ministri Sviluppo Economico e Coesione Territoriale, Presidenti Regione e Provincia – sono stati recentemente pubblicati dati piuttosto sconfortanti rispetto allo stato d’avanzamento del Piano.

Attualmente risultano infatti spesi solo un quarto dei fondi disponibili, con quasi 600 milioni di euro originariamente destinati ad investimenti per lo sviluppo del territorio che non riescono ad essere utilizzati, complice anche la difficoltà nel districarsi tra Procedimenti Autorizzativi e vincoli derivanti dall’applicazione del Codice Appalti per le Opere Infrastrutturali.

Il rischio concreto, purtroppo già osservabile, è che il Piano Sulcis diventi un altro capitolo del Bilancio RAS da cui attingere discrezionalmente a fabbisogno, privo delle strategie necessarie per raggiungere gli originali Obiettivi di Sviluppo Socio-Economico dei Territori.

Gli elementi che frenano il Piano Sulcis

Colpiscono in particolare un paio di elementi intuibili da una lettura critica dell’inchiesta giornalistica recentemente pubblicata da l’Unione Sarda:

  1. Gli enti locali non appaiono orientati, né incentivati a raggiungere in tempi accettabili alcun risultato concreto, per ottenere ricadute effettive sul territorio [1];
  2. Incapacità del FARE, più che di metodo: i molti procedimenti amministrativi sono infatti noti e ben definiti, ma gli attori coinvolti non riescono evidentemente a finalizzarli [2].

Provando a riflettere con un approccio più “tecnico” che politico: cosa possiamo esattamente intendere con il termine “metodo”?

  1. L’istruttoria ed il monitoraggio ad opera di un ufficio di coordinamento?
  2. Il combinato disposto dei procedimenti autorizzativi, e del codice appalti?

A valle dell’approvazione della destinazione dei finanziamenti sui 73 Progetti, se volessimo provare ad isolare le criticità rilevate dall’inchiesta, potrebbe essere proficuo concentrare l’attenzione sui procedimenti autorizzativi – a partire da quelli comunali sino ad arrivare a quelli di livello nazionale – e sui vincoli imposti dal codice appalti per realizzare opere pubbliche e infrastrutture, ovvero costrutti normativi di rilevante complessità, che tipicamente dipendono da soggetti di livello nazionale, e che sono pertanto in larga parte fuori dal controllo territoriale e regionale.

Piano Sulcis

D’altra parte, i procedimenti amministrativi di istruttoria e monitoraggio non possono ostacolare in nessun modo la messa a terra del Piano: sono infatti processi sostanzialmente destinati a registrare una situazione, con il rischio di finire nello stucchevole ruolo di “Grillo Parlante” di cui ha dovuto prendere atto anche l’ex coordinatore del Piano, persona senz’altro capace ma evidentemente priva di bacchetta magica.

Certamente un ufficio di coordinamento agevola, un commissariamento aiuterebbe, ma non può essere sufficiente, tantomeno risolutivo rispetto alla palese inerzia registrata da parte dei vari livelli della PA locale.

Ad impossibilia nemo tenetur

In base a tali olistiche considerazioni, gli attori locali non si possono aspettare che puntando sul “metodo” si possa trovare un modo per mettere a terra efficientemente ed efficacemente le risorse del Piano Sulcis, in quanto tale locuzione fa implicitamente riferimento a processi fuori dal controllo locale, oppure sostanzialmente ininfluenti.

Per inciso, fa anche specie e terrore pensare che la macchina amministrativa deputata a “mettere a terra” al meglio le tuttora ingenti Risorse del Piano Sulcis è la stessa oggi chiamata a sviluppare ulteriori investimenti per lo sviluppo, che potranno essere potenziati con i nuovi finanziamenti disponibili dal JTF (Just Transition Fund) e dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa & Resilienza).

Pertanto, se ci poniamo la domanda ormai impellente di come superare le difficoltà sinora riscontrate nell’utilizzare le notevoli risorse messe a disposizione per sviluppare il territorio, dove sarebbe meglio concentrare gli sforzi degli attori locali, evitando così di cercare alibi a livello nazionale?

  1. Ipotizzare di incidere o superare i costrutti normativi fuori dal controllo territoriale, sul modello “Protezione Civile”?
  2. Concentrare l’attenzione e percorrere correttamente i percorsi normativi imposti dall’alto?
  3. Responsabilizzare gli enti con potere autoritativo e negoziale a raggiungere i risultati previsti dal Piano, anche mediante snellimento dei procedimenti sotto il loro controllo?

L’ipotesi 1. ci sentiremmo di escluderla, dato l’elevato “rischio corruttivo”, che evidentemente rischierebbe anche di compromettere il raggiungimento degli obiettivi del Piano;
la strada 2. richiederebbe l’attivazione di percorsi meritocratici, formazione e riqualificazione del Personale PA che possono diventare complicati o velleitari, a cui non possiamo evidentemente rinunciare;
l’opzione 3., ovvero quella di legare direttamente il Raggiungimento degli obiettivi del Piano al cosiddetto “ciclo della performance” del personale della PA apparirebbe una strada percorribile.

Una metafora rappresentativa della soluzione proposta potrebbe essere quella del Canottaggio: occorre urgentemente un timoniere che dia alla PA locale direzione e ritmo, ovvero obiettivi misurabili.

Piano Sulcis
Foto metaforica

Al fine di superare le criticità emerse in questi anni nello sviluppo del territorio occorre in sostanza un mix di meritocrazia e conseguente buona gestione a livello amministrativo regionale/provinciale/comunale, senza necessità stringente di ricercare alibi fuori dal controllo territoriale.

Risorse e mezzi nella PA locale non possono ovviamente mancare, ma se vogliamo davvero far sviluppare il territorio devono essere utilizzate nella direzione attesa, e non dissipati in altri obiettivi.

Una volta concretamente attivato il “ciclo della performance”, più facilmente emergeranno i soggetti che non remano, o chi non rema in coordinamento con agli altri, dando così modo al livello politico di intervenire, se davvero intende farlo per il Territorio.

[1] Intervista Unione Sarda a Salvatore Cherchi del 21/02/2022

[2] Articoli Unione Sarda di Careddu & Noce del 22 e 24/02/2022

Di Andrea Fabrizi